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Notte magica della befana / 1

Da una ventina di anni, la comunità di Cavallino-Treporti ha acquisito l’onorifico appellativo di Capitale del Veneto di riti epifanici, secondo disciplinari di antiche tradizioni delle genti lagunari-plavensi. Glielo riconosce la facoltà di scienze umanistiche dell’Università di Trieste. Qui, la gente del giovane e dinamico Comune di Cavallino-Treporti, di antiche ascendenze storiche, rivive le secolari usanze dell’Epifania, con una sacralità pagano-cristiana di forti suggestioni rituali, tra storia e leggenda che, permeate di simbolismi, sconfinano nella poesia di un mondo magico, risucchiato avidamente dagli occhi dei bimbi. Osservato dai vecchi, che puntualmente ne sanno trarre con sapienza gli auspici “bòni” o “mali” che siano, per l’anno appena iniziato.

      Il merito di questo trova fondamento soprattutto nell’opera di conoscenza e di salvaguardia delle antiche usanze dei padri, intrapresa da anni dall’Associazione culturale “Usi e Costumi” di Cavallino-Treporti. Conoscenza che viene espressa da “disciplinari indicatori” frutto di ricerche storiografiche, riguardanti tre espressioni messe con successo a concorso pubblico a premi, libero e gratuito. Sono: i Pavinèri, la Pinsa e i Presepi allestiti dalle famiglie nelle proprie case, e la rappresentazione del Grande Presepio Vivente.

      I “Pavinèri”, alti anche 25 metri, sono cataste di materiali assolutamente naturali da ardere, di risulta dall’anno appena concluso, che a diecine, a centinaia, verranno accesi lunedì sera, 5 gennaio, vigilia dell’Epifania, all’imbrunire con i primi tocchi dell’Ave Maria.

      Innumerevoli saranno ancora le fiamme rossastre, tra le vigne, a trasformare il cielo in uno scenario dantesco, dal mare alla Laguna Nord di Torcello e Burano. L’accensione, recita il disciplinare, avverrà per opera dei più piccoli della famiglia che, accompagnati dai nonni, reggeranno i tizzoni accesi. Ai primi guizzi, si eleveranno ancora, alte le invocazioni a Dio, imploranti salute per la famiglia e parenti lontani, e buoni raccolti. Implorazioni tra le fucilate indirizzate alla Berò’la, a cavallo della sua scopa, e recante una gerla ricolma da frutta ed ortaggi, da cui scenderanno i semi a rigenerare la terra nella primavera a venire. La Pinsa è il pane dolce povero della Pasquetta veneta, del quale, “per rinsaldare le speranze, non ci deve essere cristiano che ne non debba godere almeno di un pezzo (morèo)”. Una presenza tipicamente nostrana, ben distante dal panettone, suo omologo d’impronta industriale.

      Infine, “il presepio allestito nelle famiglie, deve seguire l’ispirazione e l’amore al Bambinello, espressi da Francesco – affermava negli anni ’50, don Loris Capovilla -. Deve essere essenziale, calato nella realtà di ciascuno, da indurre però alla riflessione, al silenzio, alla preghiera.”. E’ questa l’idea ispiratrice per la commissione giudicante, presieduta dal chirurgo, dottor Paolo Madeyski.

(fonte: ilgazzettino)