Consigliamo:
MP system s.r.l.    LaSalute.info

Welcome to www.ilponte.ws


"Movimento di opinione per la Città un ponte tra la gente, la voce del cittadino tra i cittadini"



Il movimento di opinione "il ponte" si prefigge di raccogliere le opinioni del cittadino, filtrandole ed elaborandole per capire cos'è importante e più utile per la gente.

Dando spazio a tutte le proposte mantenendo sempre la persona e le persone al primo posto.

Si intendono sviluppare i collegamenti con le associazioni di volontariato, con le istituzioni, con le associazioni di categoria, e dei media per elaborare nel miglior modo ciò che viene esposto dal cittadino. Non limitandoci alla critica in quanto tale, ma impegnandoci a costituire e a a tradurre in realtà le idee.

Al movimento di opinione "il ponte" puo' associarsi chiunque desideri lavorare per migliorare la nostra città: renderla più vivibile e sana; ogni persona indipendentemente dalla colorazione politica e dall'iscrizione a un partito, purchè il suo pensiero sia guidato da sani principi.
www.ilponte.ws

Archivio Categoria PROGETTI

Presepe Vivente 2016 a Cà Bodi. Non solo tradizione !

IMG_20160106_180518

Presepe Vivente 2016 a Cà Bodi: Non solo tradizione !
Anche quest’anno si è svolta per la 23° edizione la Rappresentazione del Presepe Vivente ma questa volta l’atmosfera era diversa. Si è vissuto infatti e lo abbiamo sentito sia dagli spettatori che dai brevi discorsi delle autorità una emozione e delle sensazioni legate al problema dei Presepi contestati in Italia.
La atmosfera che si è vissuta è quella che molti o tutti volevano dimostrare che la rappresentazione del Presepe deve vivere, deve rimanere. Il Presepe è vissuto non solo con spettacolo, non solo come il riconoscere la nostra tradizione ma come voler affermare la nostra identità di gente che è nata cristiano e intende rimanere tale con i simboli che vanno oltre la tradizione.

IMG_20160108_154343

Questa è l’aria che si è vissuta e che forse anche Artiano Bodi e la famiglia hanno voluto confermare e far vivere.
Infatti non si è mai vista così tanta gente che rimaneva ferma a seguire la sacra rappresentazione e così tanta gente che è rimasta a parlare e commentare mente beveva il Vin Brulè , la cioccolata e il The
Diciamo che questa volta si è andato oltre la tradizione e si è vissuto un momento di spiritualità e di religiosità

IMG_20160106_180359

IMG_20160106_180413

Riportiamo la serata dell’Epifania come è stata vissuta a Cà Bodi. Nella cornice suggestiva di una giornata baciata dal sole che nascondeva anche il freddo si sono rivissute le tradizioni che Artiano Bodi fa rivivere . Tradizioni locali ma vissute con lo spirito natalizio ma artigianale che da sempre distingue questa giornata giunta oramai alla 23° edizione.
Ricordiamo che il Cav. Artiano Bodi è il Presidente della Associazione Culturale ” Usi e Costumi Cavallino- Treporti”.

3presepe

2presep

Tante persone guidate dall’instancabile Artiano e in primis la sua famiglia , si propone di mantenere vivi i riti delle Tradizioni Popolari in Cavallino-Treporti e nelle isole della Laguna Veneta. Da anni tiene vive le tradizioni in varie occasioni e a Natale si ripresenta con i concorsi e con Il Grande Presepio Vivente che da 23 anni tiene banco nella zona ma non solo. E quest’anno era il 23 ° anno del Presepe Vivente e certamente è l’unico Presepe vivente in Italia ideato e portato avanti da un privato.
Il Presepio vivente è di anno in anno cresciuto ed ha resistito a tutto. Mentre altri Presepi viventi nascono e muoiono nel corso degli anni, Il Presepio Vivente in Cà Bodi torna ogni anno e non sarebbe un Natale senza questo Presepio.

1presepe

Anche quest′anno vi è stata la fila per interpretare Gesù Bambino , La Madonna e San Giuseppe come tutti gli altri personaggi. Le figure sono state scelte ma come sempre rimangono un segreto fino alla sacra rappresentazione. E abbiamo avuto la piacevole sorpresa di vedere la stessa Madonan , lo stesso San Giuseppe con un loro nuovo bambino
E naturalmente vi sono stati i tre concorsi che si svolgono in questo periodo e che vedono le premiazioni dopo lo svolgimento del Presepe e dopo aver ascoltato le struggenti canzoni cantate dal Coro Chiara Stella
Bisogna anche fare presente che quest’anno erano stati spostati alcuni pan e vin dal 5 al 6 per la pioggia e questo poteva far diminuire l’afflusso della gente ma aver messo i falò ad orari distanziati non ha compromesso la grossa affluenza.
A vantaggio degli spettatori ha giocato il tempo: oltre a non piovere , a non nevicare non si sentiva il freddo. E la gente è accorsa come non mai. Non vi era possibilità di parcheggio tante erano le macchine
2premiaizone

I concorsi sono portati avanti da anni e sono stati come sempre
I concorsi sono portati avanti da anni e sono stati come sempre
1) I Concorsi dei ” Pavineri “, riservati alle famiglie
2) I concorsi delle Pinse
3) Il Concorso dei Presepi allestiti dalle famiglie che quest’anno è stato bello e commovente
I premi erano alla 25 ° edizione

Mai tanta gente nonostante la giornata fredda ma con il sole c he splendeva fino al tramonto e poi le stelle. Si sono vissuti riti che appassionano gli abitanti di Cavallino-Treporti, che in essi ritrovano l’identità dei padri, mediante la conoscenza e l’osservanza dei rituali antichi. Il merito va anche e soprattutto alla locale associazione “Usi e Costumi”, presieduta da Artiano Bodi, cavaliere della Repubblica, che porta avanti il progetto con convinzione e abnegazione, apportando sempre dei correttivi, spesso suggeriti dalla facoltà di scienze umanistiche dell’Università di Trieste. Progetto che è poi condiviso e sostenuto da uno stuolo di associati e collaboratori, che, fra l’altro, si trasformano in attori e figuranti nella rappresentazione della Natività.
All’iniziativa, anche quest’anno hanno dato il patrocinio e il supporto: il Comune e l’azienda di Promozione Turistica di Cavallino-Treporti e nonostante la crisi la Regione Veneto e la Provincia di Venezia sono tornati con le loro targhe e con la presenza anche del Vicepresidente della regione On. Forcolin Come invece sempre presenti la Coldiretti e la Cia, la Cooperativa agricola di Saccagnana, e la rappresentanza del Comune con L’assessore alla Cultura e il Vicesindaco in quanto il Sindaco Avv Nesto era assente per il periodo delle festività
La rappresentazione è stata magnifica e commovente e come sempre il Parroco ha dato la benedizione appoggiando da giorni la manifestazione con un tocco di classe che ha dato il giusto spirito religioso alla rappresentazione
Riporto qui le fotografie che ho scattato con l’aiuto di qualche partecipante e in modo particolare del segretario dell’On Forcolin
Chiaramente le foto come ogni hanno sofferto della atmosfera magica ma della poca luce e dalla gente numerosa che copriva spesso la visuale.
E’ una occasione per ritrovarsi tutti assieme in allegria e respirare l’aria di soddisfazione per quello che è stato fatto
E’ stata una serata anche per ringraziare Artiano Bodi per il impegno e per la sua tenacia a mantenere vive le tradizioni di questo territorio. Grazie a lui e alla sua famiglia ogni anno si rinnova la tradizione e poi è un modo di fare aggregazione e di ritrovarsi in allegria lasciando perdere i problemi che ci affliggono tutti i giorni
Naturalmente alla fine vi è stato il The caldo, la cioccolata in tazza e il vin brûlé e poi si è mangiato e si è bevuto come sempre in allegria
Ed ora menzionano i vincitori dei vari concorsi

1premiazione

3premiazione

premiazione3

IMG_20160108_154331_BURST001_COVER

Concorso Pavineri Primi speciali
1) Romano Onesto
2) Marco Bodi

Concorso Pavineri
1) Famiglia Emanuele Ballarin
2) Thomas ed Aldo Marangon
3) Alberto Bodi
4) Arch Giovanni Battista Girello

Concorso Presepi Prmi speciali
1) Francesco Orazio ( Presepe in Laguna che vedete in due foto)
2) Daniel Marangon ( occupa una intera stanza)

Concordi Presepi
1) Giulian Orazio
1) Fiorella Costantini
2) Andrea Rossi
2) Donatelal e Antonio Gregolin
3) Coniugi Aldo Peron e moglie

Concorsi Pinse
1) Giuliano Orazio
2) Romano Onesto
3) Bruno Enzo

DIFENDERE IL MUSEO DELLA BONIFICA PER DIFENDERE LA NOSTRA IDENTITA’

DIFENDERE IL MUSEO DELLA BONIFICA PER DIFENDERE LA NOSTRA IDENTITA’

Museo3

Riporto qui in integrale la lettera che il Dr. Dino Casagrande, ex Direttore del Museo della Bonifica aveva inviato al Gazzettino e che è stata pubblicata il giorno 19 dicembre, anche se non integralmente per ragioni di spazio, relativa ad un commento sul confronto tra i costi di due importanti istituzioni culturali sandonatesi: teatro e museo.

letteradirettorexmuseo 001
Ho evidenziato in giallo le parti non inserite nel giornale, ma che a me paiono fondamentali e utili a capire il problema, in quanto è bene precisare la funzione del museo rispetto a quella del teatro, altrimenti è poi difficile far paragoni.

tesoretto 001

Visto, come abbiamo appreso di recente che c’è anche il tesoretto del rimborso IVA della società patrimonio forse di un importo considerevole, pensiamo che dovrà essere utilizzato in modo oculato, soprattutto per far fronte a spese quali ad esempio la manutenzione del patrimonio (e tra queste ci sarebbe anche il museo che attende un intervento da anni). Si dovranno verificare bene i conti perché ci sono fatture in sospeso e quindi è difficile dire se siano soldi certi e disponibili oppure no, e mi pare che ci siano in corso accertamenti.
L’Annamaria Babbo ha espresso dei forti dubbi, Menazza invece sembra sicuro che pagate due fatture rimanga qualcosa, …ma se rimane qualcosa si dovrà vedere bene dove spenderli.
In ogni caso, se non si vorranno spendere almeno in piccola parte, anche per la manutenzione del museo spesso considerato, e lo abbiamo visto nei comportamenti amministrativi, più una spesa che un servizio importante per la cultura e la gente, vorremmo che si spendessero almeno per le reali e urgenti necessità della popolazione….non ultime le telecamere…per le quali noi de “ Il Ponte “ ci battiamo da tempo.

Sempre più sentiamo persone che parlano e discutano di questo argomento, collegato alla cultura , al centro, al turismo, alla vita della città , alla storia di San Donà e sempre più crediamo che il problema sia sentito.

In quanto alla difesa della fonte della nostra memoria e cioè il museo, crediamo che moltissime persone siano d’accordo per salvarlo e valorizzarlo anche se costa. Ci sono persone che non si esprimono ma che amano il museo, che hanno donato al museo ricordi di famiglia, ricordi dei loro cari, rinunciando a possedere un bene personale ma pensando che tutto questo dovesse far parte del patrimonio collettivo perché importante memoria della nostra gente e del nostro territorio. Quante sono state le donazioni in tutti questi anni dal 1974 quando si sono iniziati a raccogliere gli oggetti fino ad oggi, in 41anni? Tantissime. Vanno conservate.
Riteniamo infatti che conservare le memorie dei nostri predecessori sia un dovere dell’amministrazione, perché il museo è nato con il sacrificio di tante persone, da chi ha rinunciato ad una piccola cosa perché diventi proprietà di tutti a chi ha lavorato sodo per mettere insieme uno ad uno questi ricordi che alla fine sono diventate importanti testimonianze della città e del suo territorio, della sua storia, delle sue vicende umane!
Ecco perché crediamo che su questi punti vada fatta una attenta riflessione e riteniamo che il nascente comitato per il museo, di cui si accenna nella lettera che segue, faccia bene ad operare per la difesa della nostra identità, salvaguardando le collezioni del museo nel luogo in cui attualmente si trova.
Ecco a voi la lettera integrale
Chi vuole considerazioni le può fare su FB o sulla pagina con la mail de “Il Ponte”

Gentilissimo Direttore,
il recente articolo apparso sulla sua testata il giorno 6 scorso e relativo ai costi di strutture culturali della Città di San Dona’ di Piave (Teatro e Museo) rende necessario intervenire per alcune puntualizzazioni.
Parlo non solamente in qualità di ex direttore del museo ma anche in qualità di componente di un comitato di cittadini che si sta costituendo e colgo l’occasione per evidenziarlo (in calce fornisco i riferimenti per aderirvi). L’accostamento fatto dall’Amministrazione nel suo comunicato, tra due strutture che hanno funzioni e missioni completamente diverse e costi diversi (e su quelli indicati nell’articolo sollevo notevoli perplessità), è fuorviante. La prima (il teatro), è una istituzione culturale dedicata allo spettacolo nelle varie discipline in cui esso si può esplicare: rappresentazioni drammatiche, musica, ballo, varietà, intrattenimento, finalizzate al divertimento e a svolgere una funzione di comunicazione.
La seconda, ha una missione che è completamente diversa e che è quella (e mi richiamo alla vasta definizione dell’ICOM, International Council of Museums): “Il Museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificamente le espone per scopi di studio, istruzione e diletto.” Mission completamente diverse.
Mettere sullo stesso piano due strutture culturali così differenti è voler fornire all’opinione pubblica una visione distorta. Bene, detto questo, il comitato costituendo, allo scopo di difendere il museo lì dov’è, lì dove è stato creato con enormi sacrifici, lì nella sua attuale, ideale collocazione logistica, vuole dedicare attenzione alla salvaguardia delle memorie del nostro passato, ai grandi problemi ambientali vissuti del nostro territorio, allo studio dei primi insediamenti antropici, alle vicende belliche, a tutta la storia vissuta dalle popolazioni e ai fondamenti delle loro origini che sono contenute in quella istituzione. Tutto questo dà a quell’istituto una valenza ed un’importanza che non si può certo misurare in modo così semplicistico: una differenza di costi. I dati ai quali si è fatto riferimento, inoltre rappresentano pienamente una situazione di trascuratezza della quale l’amministrazione dovrà in qualche modo rendere conto.
I costi riportati nelle affermazioni qualunquiste dell’amministrazione sono tutti da verificare, ma in ogni caso sarebbero comunque accettabili per una struttura che deve svolgere una missione altamente complessa quale è quella del museo che, oltre all’attività di conservazione e scientifica, deve porre in essere una serie di attività che attirino i visitatori nella struttura, deve poter svolgere una attività promozionale in modo da intercettarli dalle aree turistiche a noi vicine per incrementarne il numero, mettersi in rete con altri musei per creare un polo di attrazione che riesca a valorizzare i suoi importanti contenuti.
Ebbene, in questi ultimi due anni si è assistito, invece, ad una sorta di abbandono, mancanza di contenuti, mancanza di quegli interventi strutturali che erano necessari, mancanza di promozione, licenziamento di due bravi operatori (laureati in conservazione beni culturali) che avrebbero potuto costituire con la direzione una équipe poderosa ed autorevole, mancanza di un calendario di attività che fornisse ulteriori elementi per potenziare rilanciare un istituto culturale di primaria importanza non solo per la città, ma per l’intero territorio, come il museo della Bonifica. Inoltre, in tempi di crisi, di ristrettezza di risorse, di difficoltà finanziarie, si dovrebbe far ricorso (se si desidera fare buona amministrazione) anche al volontariato. Persone se ne sono rese disponibili ma sono state allontanate, ovviamente tutto questo ha avuto anche una ripercussione anche sui costi della struttura. Sì è fatto di tutto…ma in senso opposto a quello in cui si sarebbe dovuto operare.
L’atteggiamento colpevole dell’amministrazione comunale dovrà essere stigmatizzato e non mancherà occasione per farlo, e con il costituendo comitato lo faremo certamente: i cittadini devono riprendersi il proprio ruolo contro comportamenti di abbandono, contro le richieste inascoltate, in definitiva contro l’arroganza di potere purtroppo oggi presente in molte espressioni dell’autorità politica e amministrativa.
Dino Casagrande

Per aderire Email: avverte@gmail.com
O sulla mail del sito web (+ FB) : http://www.ilponte.ws/portale/?page_id=28

Desidero ricordare che in questo sito ai links

http://www.ilponte.ws/portale/?p=1776

http://www.ilponte.ws/portale/?p=1783

http://www.ilponte.ws/portale/?p=1787

Avevamo già pubblicato un lungo testo del dott. Casagrande che illustrava le ragioni per le quali il museo doveva rimanere lì dove si trova.

OGGETTO: sicurezza in città ! Le nostre domande senzza risposta ?

Vi ricordate che noi de ” Il Ponte” assieme a San Donà più sicura aveva posto al Sindaco alcune domande sulal nostra sicurezza. Era il febbraio del 2015. Nessuna risposta

sicurezza_urbana

Dopo due mesi abbiamo girato le nostre domande al Consigliere Fingolo dell’opposzione in Consiglio Comunale.
In aprile Fingolo ha fatto una interrogazione riportando le domande che avevamo posto al Sindaco.
Ora dopo 5 mesi il Vicesindaco Trevisiol ha risposto alal interrogazione.
Il Vicesndaco si scusa del ritardo perchè dice ” ho cercato di prepare una risposta esaustiva e dopcumentata ”

Bene leggerete ora tutta la domanda (ovvero le domande) poste dal consigliere Fingolo e le risposte del Vicesindaco
Giudicherete voi se ha risposto o ha girato attorno alle domande. Alla fine a noi rimango i soliti dubbi
39 Telecamere ma quante funzionano ?
Nille occhi sulla Città è attivo ? Funziona ma come ?
Quali siti pubblici sono videosorvegliati ?. Il Vicesindaco cita il Municpio, Vari istituti scolastici, la stazione ferroviaria e quella automobilistica ( voleva dire la stazione ATVO) . Tutto qua? E i furti nella bibbioteca ? E nella scuole ? ecc…

usareiphoneandroidtelecamera

Si chiede se è stato chiesto al Prefetto che la guardie giurate possano fermare e identificare in attesa delle Forze dell’Ordine persone sospette ? Nessuna rispopsta

Leggete tutta la risposta e dite voi se la risposta è esaustiva e documentata
A parte la risposta non chiesta al Progetto ” Controllo del Vicinato, che ha sventato sempre i soliti 30 casi che in via potenziale avrebbero potuto diventare reati.
Ma questi 30 segnlazioni che hanno sventato i possibili reati sono sempre i soliti 30 che Trevisiol cita ogni settimana. Non si arriva mai a 31 casi ?
E che documentazione abbiamo che erano casi che potevano diventare reati ?

A voi domende e risposte
Giudicate voi !

Interrogazione presentata dal Consigliere Enrico Fingolo
Del Gruppo Consiliare Lista Civica Noi per San Donà di Piave nella seduta del Consiglio Comunale del 20/04/2015 rivolta all’Assessore Luigi Trevisiol
OGGETTO: sicurezza in città
Sono sempre maggiori le segnalazioni di cittadini di San Donà di Piave relative alla sicurezza della città. Sicurezza intesa in senso generale. dai furti ai pericoli per la salute come le discariche abusive, dai mendicanti molesti al degrado di alcuni luoghi anche in centro città, dagli scippi alla violenza di ogni genere.
si chiede a questa Amministrazione cosa ha intenzione di fare per risolvere. o quantomeno, limitare questi fenomeni.
Più dettagliatamente si chiede:
1) Quante telecamere sono presenti nella città di San Donà di Piave e nelle frazioni?
2) Quante telecamere sono funzionanti?
3) Quanti siti pubblici (scuole. biblioteca. ospedali. Municipio. sede della Polizia Municipale) sono dotati di telecamere funzionanti?
4) E’ attivo il Protocollo “Mille Occhi sulla Città”?
5) E stata richiesta al Prefetto la possibilità che le Guardie Giurate possano fermare e identificare in attesa delle Forze dell’Ordine persone sospette, visto che il Prefetto aveva dato la sua disponibilità?
6) L’ex vice Sindaco Oliviero Leo si era espresso favorevolmente alla richiesta di un Consiglio Comunale Straordinario sulla Sicurezza. E’ tuttora volontà di questa Amministrazione discuterne pubblicamente con la cittadinanza in presenza di tutte le forze politiche e dei rappresentanti delle Forze dell’Ordine?
RISPOSTA INTERROGAZIONE ENRICO FINGOLO
Buonasera consigliere e grazie per l’interrogazione che mi da la possibilita di chiarire l’impegno di questa amministrazione per la sicurezza. Mi scuso per il tempo che ha dovuto attendere ma ho cercato di preparare una risposta da una parte esaustiva e documentata e dall’altra rispettosa dei limiti della discrezione che la delicatezza dell’argomento richiede.
A San Donà sono presenti 39 telecamere. Tre sole nelle frazioni, e dovranno essere aumentate. Sono sorvegliati. tra l’altro, il Municipio, vari istituti scolastici, le stazioni ferroviaria e automobilistica. Molte telecamere, però. sono di vecchia concezione. Entro fine anno sarà completata la verifica di tutta la strumentazione in essere per valutare
eventuali sostituzioni e aumenti. hanno consentito di risolvere, negli
ultimi anni, oltre 30 casi di incidenti stradali che presentavano connotati dubbi.
Tra i più gravi il caso di una persona che è risultata investita sulle strisce. e ferita molto gravemente. In quel caso c’erano alcuni testimoni. probabilmente in buona fede. che avevano asserito che la persona avesse attraversato sulle strisce in bicicletta. La telecamera ha permesso di accertare che non era così. e la persona, molto anziana, aveva attraversato sì sulle strisce, ma con la bicicletta a mano. Grazie all’analisi delle telecamere è stato possibile per la persona investita, che aveva riportato gravissime ferite, di conseguire un risarcimento. Questo solo a titolo d’esempio sull’utilizzo di questi mezzi.
Le telecamere. inoltre, sono negli ultimi mesi molto utili per reprimere il conferimento abusivo di rifiuti. In più occasioni sono state comminate. sanzioni nell’ordine dei 500 euro ciascuna per conferimenti abusivi.
Inoltre da quando è stata pubblicizzata la presenza di telecamere nascoste, il fenomeno ha registrato un leggero calo. Hanno permesso. inoltre. di accertare solo nell’ultimo anno il sussistere di due casi di ordine pubblico, su cui poi l’amministrazione è intervenuta, e che hanno avuto anche ampio risalto sulle pagine dei giornali. Per quanto riguarda azioni di Polizia Giudiziaria, le telecamere sono state d’aiuto in alcuni casi importanti. Ovviamente non posso calcolare quante situazioni abbiano sventato, ovvero prevenuto, per la loro presenza. Le telecamere del Comune di San Donà di Piave sono tarate per conservare il filmato dai 3 ai 5 giorni, come da legge. In talune occasioni non sono state utili proprio perché la segnalazione è giunta dopo questo limite.
Il protocollo -Mille occhi sulla città- è attivo. Ricordo che sì tratta dell’intesa triennale sottoscritta in Prefettura tra le forze dell’ordine e società di vigilanza privata: gli occhi delle guardie giurate in servizio diventano allerta pubblica, in contatto diretto con la Questura o la centrale operativa dei carabinieri. inviando immediatamente segnalazioni. Sottolineo che la proficua collaborazione con le Forze dell’Ordine e la Prefettura si è dipanata anche su altri ambiti. Ne cito uno per tutti: la soluzione del problema di sicurezza in Piazza IV Novembre. che aveva indotto un commerciante a assumere una guardia. Ebbene, su nostra richiesta, la Prefettura ci ha concesso una pattuglia in più che è intervenuta su quello e altri ambiti, risolvendo il problema. come testimoniato pubblicamente, sulla stampa, dallo stesso esercente.
Aggiungerei però un servizio specifico del Comune di San Donà di Piave:: il Controllo del Vicinato, programma di auto-organizzazione tra vicini per controllare le aree intorno alla propria abitazione, già promosso dall’amministrazione comunale con una serie di incontri pubblici. Ebbene, in pochi mesi sono stati raggiunti i 1600 aderenti e sono stati almeno una trentina i casi sventati che, almeno in via potenziale, avrebbero potuto tradursi in reati. Ne approfitto per ricordare che, in occasione della Fiera del Rosario. un gazebo gestito dai referenti del Controllo del Vicinato illustrerà ai cittadini scopi, obiettivi e risultati del programma. E cito una nota di merito che ci dà soddisfazione: l’Associazione Nazionale Controllo del Vicinato ha nominato come referente per il Basso Veneto un sandonatese. Walter Codognotto, infaticabile coordinatore del gruppo di Isiata, tra i primi ad essersi costituiti. Un plauso anche all’opera di Raimondo Cicogna, l’agente di Polizia Locale che si sta impegnando in questo settore, e a tutti quanti. e ne sto dimenticando tanti. che hanno dato il loro apporto.
Sull’ipotesi di un Consiglio comunale straordinario sulla sicurezza. ritengo che un corretto utilizzo dello strumento consiliare sia compatibile con la sua gestione ordinaria in cui, ovviamente, la sicurezza ha una posizione di rilievo.
Distinti saluti, Luigi Trevisiol

Con cortese preghiera di pubblicazione.
San Dona di Piave. 30 settembre 2015
UFFICIO STAMPA
Tamburrini

INTERVISTA A DINO CASAGRANDE SULL’IPOTIZZATO TRASFERIMENTO DEL MUSEO DELLA BONIFICA IN CENTRO A SAN DONA’ NEL PALAZZO DEL MONUMENTO AI CADUTI

 

 

Museo3

 

 

INTERVISTA A DINO CASAGRANDE  SULL’IPOTIZZATO TRASFERIMENTO DEL MUSEO DELLA BONIFICA IN CENTRO A SAN DONA’ NEL PALAZZO DEL MONUMENTO AI CADUTI

L’annuncio dell’ipotizzato trasferimento del   Museo della bonifica in una sede in prossimità dell’area pedonale, ovvero al Monumento ai Caduti, ci dà modo di intervenire sulla questione.

Recentemente abbiamo saputo che è stato licenziato il personale (tutti gli operatori avevano la laurea in conservazione dei Beni culturali), e quindi poteva essere in fieri una decisione amministrativa di questa portata. Constatiamo, però, che si è persa una professionalità fatta da giovani laureati che si è costruita nel tempo e che consentiva di erogare anche i servizi accessori di cui il museo dispone, appositamente creati nel tempo con una visione di prospettiva futura.

Il museo, infatti, non è solo un centro espositivo, è un luogo di cultura, di ricerca, di approfondimento, di studio della storia della città e del suo territorio, così come i tantissimi lavori realizzati attraverso lo studio e la consultazione del prezioso materiale bibliografico, d’archivio, e degli stessi beni culturali che possiede, dimostrano.

Il museo è un primario centro di cultura, non è solo un contenitore, anzi non è questa la sua funzione primaria. Il museo è un luogo di conservazione delle memorie della città e del suo territorio perché possano giungere al futuro e possano essere conosciute dalle generazioni che si succederanno. Il museo guarda verso l’infinito. La biblioteca specializzata, che conta più di 11.000 volumi, è solo uno degli importantissimi beni che contiene, ma sono migliaia e migliaia i beni culturali che sono raccolti in quella struttura e che svolgono in modo costante la loro silenziosa ma efficace funzione.

L’ipotesi di trasferimento di una così nota e prestigiosa istituzione culturale cittadina, va conosciuta meglio e poi verificata nei dettagli, ma una prima possibile analisi da parte di chi la conosce essendo stato per trent’anni direttore di quella struttura, può essere fatta.

Abbiamo quindi sentito il dott. Dino Casagrande che è stato direttore del museo dal 1983 al 2013 e che ha contribuito in modo sostanziale a creare questa realtà, nota ed apprezzata ben oltre i confini della regione.

La prima cosa che ci sembra degna di essere evidenziata è che il museo nella nuova sede ora scelta non sarà più quello che conosciamo, ovvero non sarà più il “Museo della bonifica” che decine di migliaia di persone hanno visitato ed apprezzato. Per ovvie analisi quantitative delle superfici fisiche di cui dispone la struttura individuata ci sembra che la nuova sede possa valorizzare solo un sottoinsieme sia delle collezioni, sia dei servizi che l’attuale sede museale di Viale Primavera contiene ed eroga (oggi in forma ridotta a causa della carenza di personale).

Ci sembra che l’amministrazione comunale, autrice di questa scelta, si sia orientata verso una riduzione della struttura rispetto invece alle ampie possibilità che possiede l’istituzione nell’attuale sede dov’è collocata.

Domanda:

Abbiamo letto di questo progetto dai giornali. Abbiamo sentito alcune opinioni ma sembra che questo progetto non sia una novità. E’ corretto ?

Non è affatto una novità. Si sta sfruttando un vecchio progetto della precedente direzione, poi non realizzato per mancanza di risorse. Nel periodo in cui la proposta fu fatta probabilmente c’erano, oggi è molto dubbio che si possano trovare. Esiste agli atti comunali una relazione inviata all’Amministrazione Comunale più di 10 anni fa, che ipotizza il trasferimento di una parte delle collezioni museali proprio al Monumento ai Caduti, per la creazione di un museo dedicato alla città nel difficilissimo periodo della Grande Guerra e della successiva ricostruzione, ovvero le collezioni della Prima guerra mondiale e quelle relativa alla Seconda Guerra mondiale e alla lotta della Resistenza. Tra l’altro il Monumento ai Caduti porta le cicatrici dei danni subiti nel bombardamento aereo del 1944. Potevano trovare collocazione e una diversa valorizzazione l’archivio fotografico tematico, la collezione delle carte originali militari della Grande Guerra, l’Archivio Tombolan Fava (Proveniente dall’ex caserma dismessa) e così tutte le acquisizioni, le donazioni e le accessioni di materiali che furono incentivate, promosse o realizzate dalla precedente direzione negli ultimi trent’anni e che ora costituiscono un patrimonio molto vasto ed importante. Quella sede avrebbe potuto così contare su adeguati spazi che avrebbero consentito, anche con la ricostruzione di ambienti e di situazioni, spiegare in modo più esauriente e diretto di quanto non fosse stato possibile fare nella sede attuale, la vita nel periodo della Grande Guerra, la vita nella città prima della distruzione, i momenti dell’abbandono immediato, il dramma dei profughi, la vita dei soldati nelle trincee, temi ancor oggi di attualità drammatica in alcune aree del mondo. Le vite delle famiglie furono stravolte dalla totale distruzione. Il volto della città cambiò dopo il primo gravissimo evento bellico mondiale e la direzione aveva appunto ipotizzato l’opportunità di trovare un luogo in cui fosse evidenziata la trasformazione. Un museo tematico adatto anche al luogo stesso in quanto destinato a valorizzare questi aspetti storici, onorando i caduti, ma soprattutto come rimembranza dei sacrifici umani che tutte le guerre hanno comportato.

Domanda Uno dei problemi che è al centro delle discussioni riguarda lo spazio o gli spazi . La nuova sede avrebbe la capienza necessaria ?

Le difficoltà che potrà trovare la nuova sede ipotizzata sono soprattutto dovute alle dimensioni dell’immobile. Basta fare un semplice calcolo e si vede subito che manca la capienza. Poi non dispone di un ampio parcheggio nelle immediate vicinanze, è solo collocata vicino alla stazione degli autobus. Non è invece adatta a chi si muove in comitive. In definitiva gli spazi su cui potrà contare il futuro “piccolo” museo, non sono certo adatti ad una visione di prospettiva a lungo periodo e alle connesse alle potenzialità di sviluppo di un museo dedicato al territorio, che invece l’attuale sede già offre. Non sarà più così.

La cosa che salta maggiormente agli occhi, per una qualsiasi persona che abbia una minima conoscenza della vastità delle collezioni conservate nel Museo della bonifica,   è che la dimensione Monumento ai Caduti non potrà consentire l’ esposizione dei materiali e delle collezioni presenti nell’attuale museo, ma nemmeno che consenta la conservazione in luogo idoneo e protetto delle collezioni ora non esposte e dei materiali conservati nei depositi. Si dovrà fare una scelta, si dovranno ridurre le collezioni esposte e non si sa bene quale sarà la fine degli attuali depositi dei beni culturali del museo (in modo particolare quelli etnoantropologici, archivistici, il deposito di materiale archeologico), materiali che devono essere tutelati come previsto dalle leggi vigenti.

Chiunque abbia conoscenza degli aspetti scientifici che sovrintendono all’azione della curatela di un museo, soprattutto nel campo della museologia e della museografia, sa che i materiali, che costituiscono beni culturali da salvaguardare e da proteggere perché possano essere trasmessi al futuro, hanno necessità di spazi idonei non solo per essere valorizzati creando l’apposito contesto espositivo, ma anche spazi idonei per essere conservati, e molti di essi necessitano di continua manutenzione. Questo è il principale cruccio del conservatore e ora non è chiaro come si affronterà questo delicatissimo aspetto. Senza personale come si potrà, ma già adesso, garantire la conservazione dei beni culturali ?

La scelta dell’ubicazione, pertanto, si rivela enormemente riduttiva ed è potenzialmente generatrice una grave perdita per la città e in generale per il territorio. Territorio che il museo da quando è istituito ha valorizzato non solo con il continuo potenziamento della dotazione di beni culturali delle collezioni, molto spesso recuperati fortunosamente e con grandi difficoltà, ma anche con lo studio approfondito dei materiali, l’istituzione di fondamentali servizi come la biblioteca specializzata, l’archivio storico, l’archivio fotografico, le pubblicazioni scientifiche, l’organizzazione di un numero enorme di conferenze e di dibattiti sulla storia e le caratteristiche della nostra area, le visite guidate aperte alla cittadinanza, mostre e spettacoli che hanno avuto enorme risonanza e successo di pubblico. Il museo invece ha grandi potenzialità, è inserito nel masterplan regionale della Grande Guerra in previsione del centenario, oggi già in atto, come punto informativo e di accesso per tutta l’area del Piave.

 

Noi de “ Il Ponte” che ascoltiamo la gente ci poniamo una domanda semplice: perché il museo non può essere valorizzato lì dove è ?

Ci appare evidente che il museo, negli ultimi tempi, non abbia avuto dall’amministrazione quell’attenzione e quella cura che sarebbe stata necessaria per rilanciarlo, anche attraverso una importante azione promozionale, con la conseguenza che dalle stesse dichiarazioni dell’amministrazione è sceso il numero dei visitatori.

E’ mancato l’impulso che ci si aspettava dalla nuova amministrazione, mentre è invece mancato in generale l’interesse per quell’importante istituto. E’ forse per questo che ora si vuol giustificare la necessità di trasferimento nell’area centrale. In ogni caso mostre, conferenze organizzate negli ultimi tempi non hanno visto quella struttura essere usufruita e promossa.

Noi ci siamo chiesti perché non viene pubblicizzato specie nel periodo estivo. Anzi ci risulta leggendo il sito dal Museo che in luglio e agosto sia sostanzialmente chiuso.

Riportiamo a scaso di polemiche gli orari come messi nel sito ufficiale

ORARIO ESTIVO 2015

DAL 1 GIUGNO AL 13  SETTEMBRE

Lunedì 9.00 – 12.00

Da martedì a  venerdì 9.00-12.30 e 15.00-18.00

Sabato e domenica chiuso

CHIUSURA ESTIVA

DAL 13 AL 17 LUGLIO

DAL 10 AL 30 AGOSTO

E’ possibile ? Ma come fa un Museo ad avere questi orari ?

Crediamo che fare propaganda negli alberghi, nei campeggi porterebbe molti turisti. Vi sono le aziende per il turismo. Quanti turisti potrebbero venire a visitare il Museo se fossero portati a conoscenza dello stesso. Turisti al Museo significherebbe anche turisti nei ristoranti, a vedere la città a , a vedere i negozi ecc.

Domanda: qualcuno dice che un museo in centro è più accessibile . Dicono che si valorizza il centro; dicono che la zona pedonale ne guadagnerebbe. Come rispondere a questa affermazione?

Bisogna riprendere il buon senso e ragionare anche sui pregi indiscutibili dell’attuale sede: l’ampiezza e l’accessibilità.

1) L’ampiezza del museo. Ricordiamo che è ubicato in un edificio di pregio architettonico. La sua destinazione d’uso originaria, com’è noto era un convento di Clarisse, e si tratta di un progetto che fu visto e corretto da un grande architetto veneziano Carlo Scarpa, datato 1967; l’ edificio è firmato dagli autori con i nomi e la data impressa nel calcestruzzo: 1967. Appena istituito il museo ha visto fin da subito ridotte le sue potenzialità perché spezzato in due dalla collocazione, nell’ala nord, della sede della Polizia Stradale (che doveva essere solo temporanea). Tutto ciò ha stravolto le possibilità di ampliamento e le idee originarie di valorizzazione dei materiali, soprattutto la vasta collezione etnografica e non ha tenuto conto delle potenzialità, presto manifestate poco dopo la sua apertura, della collezione archeologica, sezione fortemente voluta dalla direzione. I ritrovamenti nel sito di Cittanova, che fu la prima sede della Repubblica di Venezia, sono preziosi. E sono ancora da recuperare dei beni importantissimi ritrovati negli scavi condotti dall’Università di Venezia a Cittanova. La pratica di recupero già avviata dalla precedente direzione con l’accordo della competente Soprintendenza Archeologica non si hanno notizie che sia stata più completata.

In prospettiva, la sede attualmente occupata dalla Polizia stradale, avrebbe dovuto, una volta liberata, ospitare in modo più adeguato alcuni servizi ed inoltre anche le collezioni d’arte e la storia dell’arte nel sandonatese, cosa che ora si vuol fare anche nella ipotizzata sede di Viale Libertà. Sarà un progetto irrealizzabile se non si riesce nemmeno a garantire l’attuale livello espositivo e di conservazione, non parliamo dei servizi.

Alcune note sull’edificio che ospita attualmente il museo: per ovviare alla carenza di spazi dovuta alla collocazione nell’ala nord della Polizia Stradale, si rese necessario, per conservare e valorizzare adeguatamente i materiali che negli anni (dal 1983, anno dell’apertura al pubblico) erano stati raccolti, progettare un ampliamento che fu realizzato e completato nel 1998 grazie ad un contributo della Comunità Europea di oltre 1.500.000.000 di lire di allora, concesso, per lo sviluppo turistico.

Interrompiamo il Dr Casagrande per una osservazione che nasce da colloqui con alcuni cittadini sul problema.: Ci viene detto che sarebbe da verificare per una questione etica l’utilizzo delle risorse a suo tempo richieste e concesse, se l’ipotizzato trasferimento del museo in altra sede possa conciliarsi con l’utilizzo di un finanziamento di scopo, ottenuto meno di venti anni fa, e con il conseguente impegno assunto con la Comunità Europea, di realizzare in quella sede un museo che fosse di riferimento per il territorio, fornendo, al temporaneo ospite o visitatore di queste aree una immagine delle principali caratteristiche antropiche, ambientali e storiche. Queste terre, un tempo paludose e caratterizzate da una forte quanto imprevedibile dinamica tra terra ed acqua, furono interessate da enormi lavori di trasformazione che diedero un assetto di abitabilità permanente e di sviluppo. Il grande bacino turistico che caratterizza oggi quest’area grazie a quella trasformazione produce ricchezza. Bene, quel finanziamento servì ad ampliare quell’edificio, ora è eticamente possibile utilizzarlo per qualcos’altro ? Per un’altra funzione ? Ci chiediamo anche allora se è ineccepibile dal punto di vista etico utilizzare delle risorse per uno scopo e poi invece dimenticarsene e cambiare tutto? Cosa si vuol fare di quella struttura ?

La Comunità Europea ha dato al comune un mare di soldi e poi ….dopo meno di vent’anni (ala nuova inaugurata nel 1998) si cambia idea….portando il museo in un luogo, illustre per quanto si voglia, ma che rivela una visione ristretta, limitata, non adatta alla dimensione della città e del suo territorio ma del piccolo centro di paese dove tutto deve ruotare intorno alla chiesa o al palazzo comunale !

Da quanto appare ora la città ha dei bilanci risicati tanto che si legge che è costretta ad aumentare le tasse ai cittadini e allora come portiamo a termine un progetto che per realizzarlo dovrà per forza andare verso investimenti di grande portata: c’è da rifare tutto nella sede ipotizzata, dagli impianti, ai mezzi per garantire l’accesso alle persone svantaggiate, agli arredi e tutto questo con una spesa certamente enorme e con dei tempi molto lunghi. Chi conosce la delicatezza delle operazioni non solo di ricollocazione di beni culturali, ma di spostamento di un intero museo può ben immaginare.

Torniamo alla domanda al Dr Casagrande:

Si dice che il Museo ora è decentrato , che è difficilmente raggiungibile. Che commenti può fare ?

2) L’accessibilità: la sede attuale del Museo della bonifica, non è affatto decentrata , se si pensa ad un visitatore esterno che vi acceda dalle zone turistiche, dall’estero o arrivi con i propri mezzi dalle città, province o regioni vicine. Dal centro cittadino si arriva con una breve corsa in bicicletta, utilizzando gli esistenti percorsi ciclabili.

Il museo attuale ha una viabilità di accesso assolutamente invidiabile, trovandosi immediatamente a ridosso di un’arteria di circonvallazione, è dotato di un ampio parcheggio, è immerso nel verde, con un giardino interno stupendo cha va valorizzato e maggiormente curato (purtroppo il giardino è spezzato in due dalla rete con i reticolati a protezione della caserma della Polizia Stradale). L’area verde ha tutte le caratteristiche e le potenzialità che potrebbero essere ben sviluppate e rese degne ad una struttura così importante ed affermata.

Domanda: Ma un museo del territorio ha proprio necessità di essere collocato in una sede che non da spazio e prospettive?

Il museo dovrebbe rimanere lì dov’è, almeno come Museo della bonifica. La sede ipotizzata potrà funzionare solo spezzando le collezioni e magari destinando la parte relativa alla bonifica ad altro luogo, distruggendo quindi l’unità di museo territoriale che è la caratteristica fondamentale che ora ha.

Museo decentrato ? Si pensi allora al museo di Altino, in mezzo alla campagna, o a quello di Torcello in mezzo ad un’isola della laguna, o a quello del Risorgimento di Vicenza uno dei più importanti in Italia per la storia della Prima guerra mondiale che è collocato in una villa su una collina sopra la città… ma anche all’estero…..caso del Deutsche Museum di Monaco di Baviera aggiungiamo noi interrompendo il Dr Casagrande

Infatti Il Deutsche Museum non è in centro a Monaco ma deve essere raggiunto con la Metro o con una bella camminata. Vi è parcheggio e ristorante all’interno ma diversi anche fuori. Certo Monaco non è San Donà e il Deutsche Museum non è il Museo della Bonifica ma fatte le debite proporzioni possiamo andare avanti con le nostre considerazioni

Ritorniamo ad un altro argomento e quindi domandiamo al Dr Casagrande : ci è stato detto che vi sono da anni giacenti dei progetti già pronti di sistemazione della sede attuale per il riammodernamento dell’edificio (dopo trent’anni è necessario farlo) per mettere a norma la struttura, ma cosa si è fatto per accedere ai finanziamenti che potevano essere disponibili ?

Casagrande: Erano progetti che prevedevano, oltre all’adeguamento normativo degli impianti, ad una differenziazione dei percorsi interni, anche la disponibilità di nuovi dispositivi di sorveglianza e un miglioramento dell’apparato espositivo, inoltre la dotazione di un impianto fotovoltaico che avrebbe ridotto i costi di esercizio e resa disponibile una quantità di energia necessaria per la climatizzazione, aspetto fondamentale in una struttura, soprattutto l’ala nuova, che nella fase progettazione non ha avuto la necessaria attenzione agli aspetti scientifici di conservazione, importanti per garantire nel tempo la sopravvivenza dei materiali più deperibili (soprattutto il legno e i tessuti), caratterizzanti i beni culturali etnoantropologici.

Considerazione che ci vengono spontanee:Che fine hanno fatto quei progetti ? Perché non si sono ricercati i finanziamenti ?

Perché si ha una visione ristretta delle grandi potenzialità che invece ha l’attuale sede del museo ?

L’amarezza è proprio dovuta alla constatazione che manca secondo noi proprio una impronta di visione futura allargata ad uno sviluppo dello stesso come ci si aspetterebbe che avesse.

Non basta chiudere 98 metri di corso Silvio Trentin per dare l’idea di un centro che attrae. Secondo noi bisogna considerare

1)     Cosa è il Museo della Bonifica

2)     Cosa rappresenta per la Città

3)     Cosa potrebbe e dovrebbe rappresentare

4)     Sviluppo del Museo

5)     Immagine del Museo , inserita nella nostra Città

 

E qui ci fermiamo

Lasciamo ai lettori le considerazioni sui punti che abbiamo esposto

Il futuro del Museo e della Città si vedrà …..

 

 

 

 

 

L’osteoporosi al giorno di oggi nel nostro territorio !

francescon

Anche San Donà ha partecipato allo studio sulla Osteoporosi . Si è trattato di uno studio realizzato da 100 Strutture Ospedaliere in tutta Italia. Nel nostro territorio del Veneto Orientale è stata scelta la Casa di Cura Rizzola in quanto in essa opera il Dr. Francescon , esperto di tale patologia

Quindi si trattava di un progetto nazionale ed erano stati scelti 100 centri di eccellenza  e siamo felici di portare alla attenzione di tutti i risultati di tale impegno svolto dal Dr Francescon

Pubblichiamo quindi integralmente la sua relazione rimandando ad un secondo momento un articolo complessivo che mostra lo studio nei vari centri in Italia in modo di paragonare il Veneto Orientale con il resto dell’Italia

Ecco l’articolo:

Dati emersi da un’ indagine sull’Osteoporosi

Fine modulo

Con piacere riportiamo i dati sull’epidemiologia dell’Osteoporosi che gentilmente ci ha fatto pervenire il Dott Alessandro Francescon. che recentemente ha partecipato ad un Progetto Nazionale che ha visto coinvolti 100 Centri di Eccellenza di tutta Italia e che ha suscitato anche sulla popolazione del nostro territorio un notevole interesse e partecipazione.

E’ stata data la possibilità di eseguire, a titolo gratuito, una Valutazione Clinica dell’Osteoporosi con esecuzione di una Densitometria ossea ad Ultrasuoni con strumento di ultima generazione.

Da tale Progetto il Dott.Francescon ha estrapolato, a titolo personale e in completo anonimato, i dati ottenuti sui soggetti che sono stati studiati presso L’ambulatorio di Osteoprosi della Clinica Rizzola di San Donà di Piave, da lui condotto.

Nel complesso sono state eseguite 34 visite, di cui 33 a pazienti di sesso femminile e 1 di sesso maschile; l’età dei pazienti era compresa tra i 34 e i 78 anni. La maggior parte delle persone che hanno usufruito del Progetto proveniva da San Donà di Piave (17 casi), i rimanenti, invece, provenivano da Comuni limitrofi. Si  sono registrati, infatti, 6 casi provenienti da Musile di Piave, 3 casi provenienti da Eraclea, 2 da Noventa di Piave e Caorle e, infine, un caso per ciascuno dai seguenti Comuni: Jesolo , Quarto D’altino, S.Stino di Livenza, Venezia.

Un dato interessante è stato che i pazienti si sono presentati spontaneamente alla visita informati dai mass media e quasi tutti erano asintomatici, ma all’analisi presentavano indicazioni cliniche all’esecuzione della Densitometria ossea e/o importanti fattori di rischio per L’Osteoporosi. La maggior parte di essi eseguivano la valutazione per la prima volta.

Si segnalano i più significativi fattori di rischio riscontrati: Menopausa precoce ( 3 casi), terapia cortisonica (2 casi), pregressa frattura vertebrale (2 casi), pregressa frattura calcaneare (1 caso), menopausa chirurgica (1 caso), pregressa neoplasia mammaria in terapia antiestrogenica (2 casi), ridotto apporto alimentare di calcio ( 2 casi), malassorbimento (1 caso), intolleranza al lattosio (1 caso), ipertiroidismo (1 caso), riscontro radiologico di rarefazione ossea alla testa dell’omero (1 caso), artrite reumatoide (1 caso) e polimialgia reumatica (1 caso). Nei rimanenti casi i pazienti non presentavano problematiche collegabili con l’Osteoporosi.

Il progetto  Settimana Nazionale dei disturbi osteoarticolari,alla sua prima edizione, è stato patrocinato dalle più importanti Società Scientifiche Italiane: SIOMMS, Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro, SIOT,  Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, SIR, Società Italiana di Reumatologia, ANMAR, Associazione Nazionale Malati Reumatici, e FEDIOS, Federazione Italiana Osteoporosi e Malattie dello Scheletro. L’iniziativa prevedeva  un’ indagine conoscitiva su un campione di medici e pazienti,  in una settimana, in cui in Centri specializzati distribuiti su tutto il territorio Nazionale si effettuavano visite gratuite a favore dei cittadini che ne facevano  richiesta. Lo scopo del Progetto era di  fornire un aiuto a tutti coloro che soffrono di patologie osteoarticolari, diagnosticando tempestivamente eventuali malattie.

 

 

Un punto di vista laico contro l’insegnamento gender nelle scuole.

Una riflessione da uno scrittore ( qui come insegnante )

Il Punto del Prof Francesco Fontana e riflessioni di un giornalista

 Gender-a-scuola-680x365

Un punto di vista laico contro l’insegnamento gender nelle scuole.

La recente riforma della scuola ha riportato d’attualità l’inserimento “gender” nei programmi d’insegnamento. Sembra si tratti solo di un abbozzo, ma intanto il dibattito si è scatenato.

Mezza parola intanto su cosa è l’idea “gender”. E’ una tendenza di pensiero (Psicologia? Antropologia? Sociologia?) che differenzia il sesso dal genere. Detto in modo molto schematico, afferma che se ogni persona ha un sesso biologicamente definito, ciò non sempre corrisponde al genere (maschile o femminile) cui la medesima persona “sente” di appartenere. Mi scuso per l’approssimazione di questo cenno, ma chi volesse approfondire può farlo tranquillamente. Io comunque, nerlla mia ignoranza immensa, ho capito che il senso ultimo è questo.

Bene, credo che questo punto di vista sia altamente meritorio. E’ semplicemente una fotografia della realtà, piaccia o non piaccia, in cui ci troviamo. Chi potrebbe negare che ci sono maschi e femmine che si sentono profondamente maschi e femmine? Ma altri che si sentono vicini per empatia, sensibilità, affinità elettiva all’altro sesso? O che amano persone del proprio stesso sesso o di entrambi i sessi? O ancora che non si sentono né l’una né l’altra cosa e hanno difficoltà a definirsi (e magari non ne sono neppure interessati)? Nessuno che abbia un minimo di onestà intellettuale penso possa negare che questa è la realtà. E nessuno che abbia un minimo di onestà etica penso possa arrogarsi il diritto di sancire che questa realtà è “bene” o è “male”. “È”, e basta! E ogni sua sfaccettatura ha esattamente la stessa dignità delle altre!

Una cosa però è fotografare un dato di fatto, svolgendoci delle ricerche, una cosa è trasformare questa “disciplina” in un insegnamento scolastico, magari a livello di bambini delle elementari. Io come minimo non ne vedo il motivo, come massimo sono indignato e preoccupato.

“Ecco il solito conservatore benpensante ultracattolico…”, diranno, qualora dovessero leggere queste mie modeste riflessioni, i soliti vendoliani, civatiani, landiniani, bersaniani, fassin(a)iani, insomma i soliti “sinistri” che non perdono l’occasione per stigmatizzare chi la pensa diversamente e ritenersi gli unici palafrenieri della verità. Ebbene, non per fare politica che qua non c’entra, ma solo per sgombrare ogni dubbio, dico subito che io sono progressista, malpensante (nel senso che metto il dubbio davanti a tutto), agnostico e profondamente laico (chi ha dubbi può leggersi il mio ultimo romanzo “La percezione delle Pleiadi” ed. Albatros Il Filo, e poi mi saprà dire…). Però ragiono con la mia testa e non mi faccio trascinare dalle mode, tanto meno da quelle di chi quando vota mette la croce sul mio stesso simbolo …

Ragiono dunque, e mi dico che “insegnare” la cultura gender a dei bambini di 7 – 10 – 12 anni mi sembra una cosa poco sensata. Anche perché ben altri sono i buchi culturali da riempire e ben altri i dibattiti attorno a cui la nostra malandata società in crisi dovrebbe interrogarsi.

Poi c’è modo e modo di insegnare, ma mi risulta che dove ciò avviene si traduca in sostanza in uno stimolo a non dare per scontata la propria identità. Ma scherziamo? A dei ragazzini insegnamo cose di questo tipo? Ma come facciamo a non capire che instillare simili dubbi porta a una distorsione del loro approccio con la propria psicologia, e non il contrario? Se un ragazzo ha determinati “dubbi” sulla propria identità di genere, ebbene essi sono più che leciti ma devono venire fuori spontaneamente. Non possono essere “pungolati”, altrimenti si rischia di fare una grossa confusione e… grossi danni. Mi duole dirlo, ma accanto a insegnanti meravigliosi cui affiderei la gestione del nostro Paese, ce ne sono alcuni cui non affiderei neppure la gestione della gabbia di un criceto, figuriamoci la gestione della ricerca di genere di mia figlia! La “sua” ricerca mia figlia deve farla da sé, l’ha fatta, la fa e la farà in piena liberttà, senza bisogno di maestri, né buoni né cattivi.

Non vorrei che questa castroneria pseudomoderna della cultura gender nelle scuole facesse la stessa fine del crimine perpetrato da chi voleva “esportare” la democrazia in alcuni Stati che non avevano mai chiesto tale gentilezza. Ma che, forse, avevano e hanno molto petrolio nel loro sottosuolo!

 

 

Per completezza riporto questo articolo del noto giornalista Gianluca Veneziani

Qui potete leggere cosa si pensa di fare in Europa e quindi anche in Italia

Non è stato approvato e se ne discute ancora ma leggete e poi ognuno pensi a come crede sia giusta dare come educazione ai propri figli

 

D’ora in avanti la masturbazione sarà promossa in tutte le scuole materne ed elementari d’Europa come forma di educazione sessuale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), di comune accordo con l’agenzia governativa tedesca per l’Educazione sanitaria, sta infatti diffondendo presso tutti i ministeri della Salute e dell’Istruzione d’Europa un documento, chiamato «Standard di Educazione Sessuale in Europa», che invita a una maturazione della consapevolezza sessuale già nei primissimi anni di età, attraverso una conoscenza del proprio corpo e un’esplorazione delle relazioni sessuali – sia etero sia omo – infantili. Il testo, redatto da diciannove esperti, è rivolto a «responsabili delle politiche, autorità scolastiche e sanitarie» e rappresenta una sorta di vademecum per guidare i bambini verso una piena crescita sessuale nel periodo compreso tra 0 e 15 anni.

Nelle 83 pagine del documento vengono definite le varie fasce d’età e, per ciascuna, stabiliti gli obiettivi da raggiungere e i relativi compiti dell’insegnante.

Ai bimbi dagli 0 ai 4 anni, si legge, «gli educatori dovranno trasmettere informazioni su masturbazione infantile precoce e scoperta del corpo e dei genitali, mettendoli in grado di esprimere i propri bisogni e desideri, ad esempio nel “gioco del dottore”». Dai 4 ai 6 anni i bambini dovranno invece essere istruiti «sull’amore e le relazioni con persone dello stesso sesso», «parlando di argomenti inerenti alla sessualità con competenza comunicativa».

La vera crescita avverrà coi bimbi tra i 6 e i 9 anni, cui i maestri terranno lezioni su «cambiamenti del corpo, mestruazioni ed eiaculazione», facendo conoscere loro «i diversi metodi contraccettivi». Su questo aspetto i bambini tra 9 e 12 anni dovranno già avere ampia competenza, diventando esperti nel «loro utilizzo» e venendo informati su «rischi e conseguenze delle esperienze sessuali non protette (le gravidanze indesiderate)». Ecco il decisivo balzo in avanti: nella fascia puberale tra i 12 e i 15 anni gli adolescenti dovranno acquisire familiarità col concetto di «pianificazione familiare» e conoscere il difficile «impatto della maternità in giovane età», con la consapevolezza di «un’assistenza in caso di gravidanze indesiderate e la relativa «presa di decisioni» (leggi aborto). Non solo: a quell’età, ormai matura secondo l’Oms, i ragazzi dovranno essere informati sulla possibilità di «gravidanze anche in relazioni omosessuali» e sull’esistenza del sesso inteso come «prostituzione e pornografia», venendo messi in guardia «dall’influenza della religione sulle decisioni riguardanti la sessualità». Il protocollo diffuso dall’Oms lancia anche un monito affinché «l’educazione sessuale venga effettivamente realizzata in termini di luoghi, tempi e personale», sebbene non occorra una preparazione ad hoc della classe docente e «gli insegnanti di educazione sessuale non siano professionisti di alto livello».

Queste direttive sono già state recepite a livello comunitario nella risoluzione Estrela votata giorni fa al Parlamento europeo e ora in discussione in Commissione. Nel testo presentato dall’europarlamentare socialista Edite Estrela, la masturbazione viene infatti indicata come metodo di educazione sessuale, prendendo atto del fatto che «i ragazzi più giovani sono esposti, sin dalla più tenera età, a contenuti pornografici soprattutto su Internet».

Il rapporto Estrela, inoltre, invita l’Ue a «prevenire le gravidanze indesiderate» e a garantire «il diritto d’aborto», combattendo «l’abuso dell’obiezione di coscienza» da parte del personale sanitario. Contro questa risoluzione si sono schierati numerosi europarlamentari, tra cui l’italiano Sergio Silvestris (Pdl), che coi loro emendamenti hanno determinato un rinvio e un riesame del testo in Commissione. Intanto anche contro il documento dell’Oms si sta sollevando un’opposizione della società civile: sia la fondazione CitizenGo sia il sito hatzeoir.org stanno raccogliendo firme per fermare la diffusione del testo, definito «corruttore dell’integrità e della salute dei minori».

di Gianluca Veneziani

 

Due visioni da un insegnante a un giornalista

Uno dice la sua e un altro racconta quello che sta succedendo

A voi le riflessioni

ROM e RUMENI: disinformazione per ignoranza o una informazione falsa ?

 

In un articolo sulla Nuova Venezia  del giorno 22 corrente mese si legge che la Comunità Rumena di San Donà si sarebbe sentita discriminata per fotografie di case e casette appartenenti ai Rom che risiedono in Romania  e da odio , a dir loro fomentato da commenti che sono apparsi su San Donà + Sicura.

Ci siamo incontrati con il sig. Daniel Saboanu  che è esponente della Comunità Rumena a San Donà e Presidente da anni della Associazione Socio – Culturale Rumena  DECEBAL – TRAIAN  , persona che conosco da anni e che stimo per il suo impegno. Chi meglio di lui poteva dare un giudizio sulle affermazioni che si ritrovano nell’articolo ? Ed ecco cosa è venuto fuori dalla chiacchierata :

“Prima di tutto, quella intervista evidenzia dei dubbi sulla razionalità del intervistato per il semplice motivo che a San Dona non c’è un’altra associazione oltre la nostra, almeno che qualcuno non si spacci per il rappresentante della comunità romena, e  solo se è un prete, ma di solito i preti non rilasciano interviste.”

Il sottoscritto  ha molte infermiere rumene in reparto e in sala operatoria e sono ragazze stupende sia dal punto di vista professionale che umano ed hanno come piace a me sempre il sorriso con gli ammalati e con me. Mi dicono tutte che si sentono bene con noi italiani e che nessuno li discrimina.

Quasi tutte sono su FB. e nessuna ha trovato da ridire qualcosa e in merito alle foto delle villette ; tutte concordano che sono vere e le hanno viste anche loro. Tra l’altro sono un po’ tutte simili come costruzioni  e sono grandi in merito alla ricchezza e alla potenza di tali zingari)

Un  anestesista rumeno mi ha mostrato immagini  simili che ha nel telefonino ed ha confermato tutto. MI ha detto che loro in Romania hanno gli stessi problemi con i ROM . Da loro non è vietato l’accottaggio ma in molti comuni vi è una disposizione del Comune che lo proibisce  e hanno i cartelli che lo vietano fuori dei negozi e ai semafori.

E i sign. Daniel mi darà una foto del cartello che da loro è appesa fuori dai negozi e ai semafori, simile a quello che abbiamo fatto noi. .

 

Ma il concetto è sempre lo stesso: l’elemosina si può chiedere ma non deve essere insistente e con minaccia e con minori per impietosire la gente.

Nessuno non conosce la provenienza di denaro di quelle ville però siamo sicuri che non sono ne uomini d’affari e ne politici non gestiscono ne fabbriche e non sono ne in parlamento, quindi qualche pensiero di illegale può averlo chiunque.

Cretamente molti rom chiedono la elemosina e poi portano i soldi nel loro villaggi assieme a merce rubata.

Il sign Daniel ha fatto notare che affettivamente molti confondono ROM con Rumeni ma dipende dalla ignoranza.  I Rom si trovano in molti paesi sia in Romania , come in altri paesi dell’est ma anche in Italia.

Sempre il Sign Daniel continua “. Non tutti i rom sono medicanti, (quelli di San Dona si) o malvagi. Ha detto di  conoscere dei rom che si sono convertiti al cattolicesimo tenendo conto che loro non hanno una religione, Non vogliamo  generalizzare, dice,  ma notiamo che in Italia come dicono tutti è la certezza della pena ce manca  piuttosto che mancanza delle leggi.

Di tutte queste cose ho parlato con il Sign Daniel che ha confermato quanto mi dicono tutti i rumeni che conosco. Anche lui si trova su FB e  guarda con interesse le nostre pagine e non si sente discriminato e offeso in quanto sa benissimo che quello che pubblichiamo si riferisce ai ROM e non ai Rumeni. Secondo lui tutti i Rumeni lo capiscono e  e non si sentono discriminati e sono integrati bene tra la nostra popolazione .

 In conclusione ribadiamo cheSe i Mendicanti molesti di San Donà sono dei ROm  è la sola Verità
Se questi ROM vengono dalla Romania è verità appurata
Se le villette pubblicate sulla pagina sono villette di ROM è documentato anche se quelle postate non appartengono ai ROM che abitano a San Donà. Tutti i Rumeni lo riconoscono e alcune sono fatte da ROM che portano soldi dall’Italia  mentre altre sono costruite con traffici illeciti
Ma questi sono problemi noti e documenati
Non vedo il perchè dire queste verità sia incitare all’odio come mi ha detto anche il Sig Daniel come rappresentante della Comunità Rumena
Noi però mettiamo sempre bene in chiaro che sono ROM e non Rumeni.
Quindi i Rumeni non possono offendersi.La ringrazio

Se lo stato non interviene allora i Sindaci possono fare una ordinanza !

IL significato di queste ordinanze prende lo spunto della paura creato dalla diffusione in Africa dell’Ebola ma che si accompagna alla costatazione di alcune malattie che sembravano sparite o in netta diminuzione ai nostri giorni. Non si tratta di discriminazione  ma di prevenzione e come tutti sanno è il Sindaco il Responsabile della Salute dei Cittadini. Per tale motivo una ordinanza simile è a favore della Salute dei Cittadini, della loro tranquillità e della loro Sicurezza.

Norme quelle elencate nelle ordinanza dovrebbero essere applicate  in tutto il territorio italiano al fine di limitare non solo l’ebola ma tutte le malattie infettive che sono attualmente in aumento

Pier Luigi Lopalco. Direttore della Sezione per la Valutazione Scientifica, ECDC – Stoccolma.   Professore Associato di Igiene – Università di Bari spiega la diffusione delle malattie infettive in rapporto ai flussi migranti.

La chiara disproporzione di casi di AIDS, tubercolosi ed epatite B nella popolazione migrante suggerisce come la condizione di immigrato rappresenti ancora oggi nell’UE un determinante di salute importante che fa degli immigrati una popolazione piú fragile con minore accesso ai programmi di prevenzione.

I Rapporto dell’ECDC (European Center for Disease Control and Prevention) “Valutazione del carico delle malattie infettive nella popolazione di immigrati nell’Unione Europea poprta dati che mostriamo in riassunto

Queste le principali conclusioni del Rapporto:

HIV: tra il 2007 ed il 2011 ben il 39% dei nuovi casi di infezione da HIV provengono dalla popolazione immigrata  Questo dimostra come esista una chiara sproporzione fra l’incidenza di nuovi casi di HIV fra la popolazione “indigena” e quella immigrata. L’aumento è dato specialmente per i cittadini provenienti dall’America latina e dall’Est Europa.  La via di trasmissione piú frequente é risultata essere attraverso rapporti eterosessuali non protetti, anche se nei migranti dal Sud America resta elevata la quota legata ai rapporti omosessuali. Ma non si tratterebbe  di “importazione” di casi, bensì di problemi legati ad una maggiore suscettibilità di questi soggetti all’infezione una volta arrivati in UE (comportamenti a rischio, mancanza di modelli di prevenzione, ecc.)

Tubercolosi: anche per la tubercolosi, si é osservato un trend in aumento di casi legati alla popolazione migrante: dal 10% nel 2000 al 25% nel 2010. Allarmante il dato che mentre l’incidenza sembra ridursi nella popolazione “indigena”, si registri un aumento dei casi nella popolazione immigrata. Tale evidenza suggerisce la necessitá di mettere in atto specifiche strategie di prevenzione in quei gruppi di popolazione che sono stati evidenziati a maggior rischio.

Gonorrea e sifilide sembrano non differire in maniera significativa fra popolazione immigrata e residente. Mentre i dati a nostra disposizione non ci consentono di trarre conclusioni riguardo morbillo, rosolia ed epatite C. Al contrario, l’epatite B colpisce in maniera discriminatoria le popolazioni immigrate, anche grazie al fatto che in tutti i Paesi UE le strategie vaccinali contro l’epatite B hanno ridotto al minimo la circolazione locale del virus.

Un ulteriore problema di salute da affrontare nella popolazione migrante è la possibilità di acquisizione di malaria legata a viaggi di ritorno per visitare i paesi di origine , oppure alla presenza di malaria nei lavoratori stagionali. L’Africa sub-Sahariana é al primo posto per i casi importati di malaria da P. falciparum..

La conclusione principale del Rapporto é rappresentata dall’evidenza che i dati a nostra disposizione sono ancora piuttosto frammentari e che é necessario un forte sforzo da parte della Sanitá Pubblica per migliorare la qualitá dell’informazione per poter attuare misure preventive meglio mirate. I dati sulla diffusione di alcune patologie (quali HIV e TB) fra la popolazione immigrata e quella “indigena” sono piuttosto scarsi, anche se la chiara sproporzione di casi nella popolazione migrante suggerisce come la di immigrato rappresenti ancora oggi in Europa un determinante di salute importante che fa degli immigranti una popolazione più fragile e con minor accesso ai programmi di prevenzione.

 

Il problema della possibilità di infettarsi del virus dell’ebola rappresenta un problema a parte e per tale problema riportiamo quanto proposto dal Protocollo del Ministero della Salute

“E’ altamente improbabile, ma non impossibile”, che persone infettate da virus Ebola in Guinea, Liberia, Nigeria e Sierra Leone possano arrivare in Italia e quindi sviluppare sintomi dopo il loro arrivo. Si apre così la circolare del ministero della Salute che lo scorso agosto ha stabilito il protocollo per affrontare il rischio Ebola nel nostro Paese.

Maggior vigilanza da parte degli operatori sanitari
“Anche se la probabilità di casi importati nel nostro Paese è molto bassa – si legge nel documento – la capacità di risposta del sistema sanitario nazionale, nell’ipotesi del verificarsi di casi di Ebola sul nostro territorio, è adeguata ad individuarli e confermarli, e ad isolarli, per interrompere la possibile trasmissione anche di
questo agente patogeno altamente infettivo. Di conseguenza, è importante richiamare gli operatori sanitari ad essere vigili nei confronti di coloro che hanno visitato le zone colpite dalla febbre emorragica virale e sviluppano una malattia non altrimenti spiegabile”.

Potenziali fattori di rischio d’infezione
I pazienti devono ricevere rapidamente cure mediche e devono essere indagati i potenziali fattori di rischio di infezione e le modalità di un loro recente viaggio, considerando se:
- hanno recentemente visitato una delle aree affette
- hanno manifestano i seguenti sintomi, soprattutto ad insorgenza improvvisa, entro 21 giorni dalla visita nelle zone colpite: febbre, mal di testa, mal di gola, diarrea profusa e vomito, malessere generale.

21 giorni: periodo massimo d’incubazione
Febbre emorragica virale deve essere sospettata in soggetti con febbre (>38C) o storia di febbre nelle ultime 24 ore:
- che hanno visitato una zona affetta da Ebola entro 21 giorni
- che hanno curato o sono entrati in contatto con i fluidi corporei o campioni clinici di un soggetto o di un animale, vivo o morto, malato o fortemente sospettato di avere la febbre emorragica virale. In caso si sospetti febbre emorragica virale, non devono essere trascurate diagnosi alternative, come la malaria.

Protocollo da seguire
Nell’eventualità di un possibile caso ai “soggetti residenti in/viaggiatori di ritorno da” aree affette, all’arrivo nel nostro Paese, sarà consegnato un foglio informativo nel quale sono invitati a rivolgersi al medico di fiducia o ai servizi sanitari, in caso manifestino determinati sintomi entro 21 giorni dal loro arrivo. Se il medico consultato valuterà un paziente come sospetto caso di Ebola, in base ai criteri clinici e ai criteri epidemiologici, si metterà in contatto con il reparto di malattie infettive di riferimento per la gestione del paziente. I medici del reparto di malattie infettive interessato faranno una prima valutazione per escludere o confermare il sospetto di Ebola. In questo secondo caso, contatteranno l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani”, per confrontarsi sulla diagnosi e per l’eventuale gestione del paziente e per il prelievo e l’invio di campioni biologici al laboratorio a più elevato livello di biosicurezza (BSL4), sempre presso l’INMI “L.Spallanzani”.

Per evitare inutili psicosi, il Guardian ha stilato un prontuario di prevenzione dal virus. Tutto quello che è possibile fare per evitare, per quanto possibile, il contagio.

1. Come si trasmette l’ebola?

Ebola si trasmette attraverso i fluidi corporei. Sangue, vomito o feci dei malati sono i fluidi più infettivi in assoluto,.

2. Posso contagiarmi andando in palestra?

No. Anzitutto perché nessuno con i sintomi dell’ebola avrebbe la forza di fare esercizio fisico. E quando è in incubazione, il virus non è ancora infettivo. Il sudore, al contrario di quanto è stato spesso comunicato, non è una delle primarie cause di passaggio del virus. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha specificato che il virus non è mai stato isolato nel sudore.

3. Posso contrarre l’ebola se qualcuno starnutisce vicino a me?

Esiste una possibilità di contrarre il virus in caso una persona infetta starnutisca violentemente addosso a qualcun altro, ma soltanto negli ultimi stadi della malattia Il virus non si trasmette per via aerea.

4. Posso infettarmi nei bagni pubblici?

Sì. Qualsiasi tipo di contatto con le feci di chi è malato è particolarmente pericoloso, e il virus è stato individuato anche nelle urine.

 

5. Ebola è sessualmente trasmissibile?  

Sì, e il virus può sopravvivere nello sperma e nei fluidi vaginali fino a 90 giorni, anche nelle persone che sono ormai guarite da ebola.

6. Posso contrarre l’ebola se salgo sullo stesso taxi preso da un infetto?  

Nonostante il virus si trasmetta attraverso le superfici toccate dai fluidi corporei di un malato, è difficile che questo accada su un taxi. A meno che l’infetto non abbia vomitato o sanguinato sui sedili.

 

7. Posso ammalarmi toccando la maniglia di una porta toccata da un malato?    

Sì, se la maniglia è stata contaminata da sangue, vomito o feci infette

8. Ci sono pericoli alimentari?

Se il cibo è cotto non si presentano rischi. La carne cruda invece può essere pericolosa.

9. Le misurazioni di temperatura dei passeggeri negli aeroporti sono utili?

Non particolarmente. Anche perché simili misure dovrebbero essere attivate non solo negli aeroporti ma anche nei porti.

Ricordiamo infine che il virus si trasmette solo in pazienti infetti e che quindi l’Ebola si può prendere solo da pazienti che hanno i sintomi dell’ebola in quanto solo allora il virus è presente dei liquidi organici e può essere trasmesso

 

 

Ospedale Unico: un passo avanti e un passo indietro: Possibili soluzioni !

 

Un passo avanti e un passo indietro. Rimaniamo fermi . Ma rimanere fermi significa andare indietro.

Indietro dall’Ospedale Unico. Ma avanti verso il caos. Avanti per non dare risposte ai cittadini.

Vi ricordate il vecchio Ospedale?

Si può rimanere ai vecchi tempi ?

 

E allora vediamo la situazione e facciamo il punto su cosa può succedere e sui prossimi scenari

Bisogna dire che difficilmente la Regione , Il Governatore Zaia e la Giunta, avrebbero fatto un passo indietro. Fare un passo indietro significherebbe rivedere le schede di dotazione ospedaliera, ripensare alla strategia sanitaria non solo degli Ospedali ma anche di tutto il sistema sanitario del Veneto Orientale.

La Conferenza dei Sindaci si era espressa alla unanimità , dopo che al Convegno organizzato da ” Il Ponte” i due Sindaci ( quello di Eraclea e quello di San Donà ) si erano espressi alla costruzione del nuovo Ospedale, ma come avevamo detto al Convegno i campanilismi si sarebbero fatti vivi e la politica sarebbe entrata dalla finestra. E allora erano cominciati i passi indietro

Passi indietro che erano stati fatti da diversi Sindaci e in modo particolare da quello di San Donà e di quello di Portogruaro. Il motivo era semplice e lo avevamo già detto al Convegno: nessuno voleva avere l’ospedale dell’altra città favorito rispetto al suo. In sostanza tutti temevano di perdere l’Ospedale sotto casa , nella propria città a vantaggio della città alternativa. E anche il pensare di un Ospedale a mezza via non accontentava tutti.

Tutti in sostanza volevano avere il nuovo Ospedale a casa loro . Tutti avevano paura di perdere consensi. Certamente ufficialmente tenevano una altra posizione e una altra giustificazione. Tutti esprimevano la paura di non avere  una assistenza pronta per i propri abitanti. Temevano di perdere un Ospedale, temevano che un edificio sarebbe stato abbandonato. Ma tutto sommato temevano di perdere consensi presso la propria popolazione , temevano di non aver difeso i propri cittadini

Varie sono state le opinioni e varie le soluzioni.

Ci fu anche un  documento ufficiale del PD e del Sindaco Cereser ( che ricordiamo è dello stesso partito del Sindaco di Portogruaro) che rimetteva tutto in discussione. Voleva un cambiamento delle schede ospedaliere e chiedeva di riorganizzare la sanità in modo diverso

Cosa diceva questo documento

“Per quanto riguarda infine gli obiettivi a breve termine, si ribadisce che il PD chiede l’immediata sospensione dell’applicazione delle schede ospedaliere ed esprime la propria ferma opposizione alla ristrutturazione ospedaliera del presidio di San Donà come previsto dalle schede stesse reclamandone, in ogni caso, il potenziamento dei servizi sino agli standard previsti, per garantire, qui, ora e sino alla realizzazione concreta di eventuali alternative, la salute dei cittadini di San Donà e dei comuni limitrofi.

Partito Democratico – Circolo di San Donà 12 febbraio 2014”

 

Sembrava tutto quindi ritornare in gioco e la conclusione era uno stallo, un passo indietro e ritornare alla Sanità attuale

Ma poi venne la decisione di sentire una commissione tecnica che decidesse quale era il miglior sito per un Ospedale unico.

La soluzione è stata come l’uovo di Colombo. Una commissione tecnica assieme ai Sindaci delle Principali città interessate avrebbe deciso la locazione del nuovo Ospedale. La città ( Portogruaro o San Donà ) che sarebbe stata più distante dal nuovo Ospedale avrebbe avuto una sede di Pronto intervento in modo da garantire una assistenza veloce a tutti.

Nello stesso tempo la Conferenza dei Sindaci  venne alla stessa decisione e la decisione è stata presa alla unanimità.

Si era quindi  fatto un passo AVANTI !

Ma la gente cosa dice. I cittadini parlano a secondo la loro esperienza personale; non molti possono ragionare in senso razionale e obbiettivo, anche perché non possono prescindere del partito al quale si ispirano.

 

Ospedale unico ? No grazie ! sembrano dire oramai molti. Si moltiplicano le riunioni di addetti ai lavori, di sindaci, di medici, di associazioni  che dicono la loro opinione. Vi sono ora comitati che cercano di fare marcia indietro alla decisione della Giunta Regionale.

Noi de ” Il Ponte ” avevamo fatto un convegno in ottobre l’anno scorso con rappresentanti dei vertici della Sanità Regionale e della ASL e ci venne spiegato che l’Ospedale Unico era la sola possibilità attuale per portare una eccellenza nella nostra Sanità locale.

Si era spiegato che i costi per mettere al passo i vecchi Ospedali era troppo alto, che la sanità moderna andava verso questa direzione, che i soldi erano stati trovati…..

Si disse anche che entro 5 anni l’Ospedale Unico sarebbe stato pronto  . IO ero scettico tanto che finii gli intervento del convegno dando appuntamento a tutti fra 5 anni e vedere chi aveva ragione : loro o io che pensavo che tutto poteva avvenire fra 10 anni.

Dissi fra 10 anni pensando a tanti problemi ma poiché nessuno in quel convegno criticò, a parte uno del pubblico, le schede ospedaliere che andavano incontro all’Ospedale Unico e facevano un percorso in attesa di tale Ospedale, diedi per buono che l’Ospedale UNICO  SI SAREBBE FATTO.

Era presente anche il Sindaco di San Donà che diede l’OK alle schede regionali. Lo stesso Sindaco parlò però che il percorso fosse fatto entro determinati termini e che non si lasciasse sguarnita la popolazione nei servizi fino ai prossimi 5 anni.

Lo stesso Vicesindaco di San Donà che è un medico era d’accordo nel progetto ma ora tale vicesindaco è stato estromesso dalla giunta proprio per le sue posizioni spesso in contrasto con quello del sindaco.

Jesolo aveva accettato la sua conversione in un Ospedale unico con indirizzo riabilitativo e di lungodegenza che poteva far pensare a pacchetti per i turisti e ad incentivare il turismo.

Ma poi sono cominciate i litigi per la sede. Tutti volevano un Ospedale sotto casa , più vicino alla propria casa e ora tutti volevano l’Ospedale Unico a casa loro. Bene Ospedale Unico ma a San Donà o a Portogruaro. Sono cominciate le polemiche. Si disse : bene lasciamo che siano i tecnici della regione a decidere la sede. Ma alla fine anche questa soluzione non andava bene.

Il consigliere Trevisiol di Musile ha dichiarato , almeno letto sui giornali, che l’Ospedale Unico doveva essere fatto a Caposile  e che doveva essere lasciato l’Ospedale di Portogruaro.

Sono intervenuti il Dr Merli ex Sindaco e Ex Presidente della Conferenza dei Sindaci per la Sanità

Ma per quanto finora detto, quando si parla di politica socio sanitaria, non ha alcun senso concentrare l’attenzione solo sul tema ospedaliero, ma dobbiamo partire dai bisogni delle persone per la costruzione di un disegno complessivo, che comprende il servizio ospedaliero, in grado di rispondere alle legittime aspettative di una società post industriale che si definisce ai massimi livelli nazionali ed europei in tema di diritto alla salute.

Partire dalla rete dei servizi sul territorio.

Indipendentemente dalla soluzione che si vuole dare al tema della riorganizzazione ospedaliera (ospedali in rete od ospedale unico, servizio pubblico e servizio privato, in concorrenza o complementari, ecc.), resta del tutto da risolvere il problema dei servizi territoriali, sia sul versante della progettazione che, ancor più importante, della loro realizzazione. Si tratta, come noto, di dotare i distretti socio sanitari degli strumenti e delle    risorse utili per la costruzione di una rete di servizi, che ha il proprio fulcro sui medici di medicina generale e sui pediatri di libera scelta, organizzati e integrati con i servizi necessari – hospice, ospedali di comunità, RSA, unità riabilitative territoriali, centri diurni, ADI, ecc. – per garantire un sistema di cure vicino alle persone ed alle loro famiglie, per evitare ricoveri impropri negli ospedali, per garantire l’assistenza e la cura post- ospedaliera.

Il potenziamento dei servizi territoriali potrà così avere, inoltre, un importante ruolo nella prevenzione, obiettivo raggiungibile solo attraverso una diffusa e diversa cultura della salute.

Una rete dei servizi così intesa permetterebbe agli ospedali di concentrarsi, in linea con la propria mission, solo sui problemi acuti, mentre il percorso per le persone in condizione di fragilità – ad esempio in dimissioni protette – o di cronicità, potrebbero trovare soluzione negli altri servizi integrati della rete territoriale.

Per realizzare tutto questo è necessaria una politica di sviluppo con adeguati finanziamenti per l’apertura, da subito, dei nuovi servizi territoriali mancanti o insufficienti.

Contrariamente a quanto fin qui auspicato, da oltre un anno a questa parte assistiamo ad una riorganizzazione che va esattamente nella direzione opposta, a partire dalla riduzione dei servizi territoriali e dall’incomprensibile riduzione da due distretti socio sanitari ad uno solo, coincidente con tutta l’ULSS 10.

L’ospedale unico è veramente la scelta migliore e più conveniente ?

Da alcuni anni, ma recentemente in modo più frequente, all’interno dell’ULSS 10 si sta sostenendo l’opportunità di passare da un modello di strutture ospedaliere policentrico all’idea dell’ospedale unico.

Questa affermazione, sostenuta dalla direzione generale dell’ULSS 10, non è mai stata accompagnata da un preliminare di massima, non è stato detto con certezza quanto costerà (si è sentito dire 100, 150, 170 milioni di €… chi offre di più?), non è stato detto in che modo i cittadini, attraverso le tasse, dovranno pagarlo, non è stata presentata alcuna seria analisi circa i costi di gestione, né una seria analisi circa i costi sociali di una simile iniziativa.

Ad incrementare la confusione e la demagogia contribuisce il fatto che quando viene sbandierata l’ipotesi dell’ospedale unico sembra ne debba esistere, per l’appunto, uno solo. Ma non è così. L’ospedale unico, infatti, non sostituirebbe tutti e 4 gli ospedali esistenti, ma solo due, perché l’ospedale ad indirizzo monospecialistico riabilitativo di Jesolo continuerebbe ad esistere, così come la Casa di Cura privata Rizzola. La riduzione sarebbe dagli attuali 4 a 3, da realizzarsi, come sopra ricordato, non si sa quando, dove, con che soldi… e soprattutto perché.

Ma quando si parla di costi, dobbiamo pensare che non si tratta solo di quelli economici, ma anche di quelli sociali. Con una conformazione geografica come quella dell’ULSS 10, un solo ospedale, ancorché centrale, obbligherebbe la stragrande maggioranza dei cittadini a sobbarcarsi distanze e tempi di percorrenza inaccettabili e non convenienti, considerato anche il sistema viario e di trasporti pubblici esistente. Un ulteriore buon motivo per andare a trovare le risposte in altre ULSS incrementando ulteriormente le “fughe” verso l’esterno.

L’ULSS 10 dovrebbe concentrarsi sugli aspetti che le sono propri, ovvero sulla gestione, sull’aumento della qualità dei servizi, sulla diminuzione delle c.d. “fughe”. In questo campo riteniamo che l’equilibrio di bilancio a cui la direzione generale naturalmente tende, debba essere ottenuto non abbattendo la spesa tagliando i servizi, come si sta facendo in questo periodo, ma aumentando le entrate migliorando ed integrando i servizi stessi, sviluppando una maggiore attrazione e una maggiore fiducia da parte dei cittadini nei confronti dell’ULSS 10.

Il clima si fa rovente

Si può modificare il piano e fare , come abbiamo sempre sostenuto, Ospedali differenziati che non facciano tutti le stesse cose.

 

Ritorniamo su quello che noi abbiamo sempre sostenuto da più da 20 anni. Ospedali differenziati non come specialità ma come reparti che a parte le parti basilari facciano patologie differenziate.

Forse l’Ospedale Unico potrebbe essere la soluzione migliore ma vi  sono alcuni problemi che hanno riportato diverse persone

Il vero problema è il lato economico

Dove sono i soldi ?

Vi è un piano di fattibilità ?

Dove farlo’

La distanza di un Pronto Soccorso efficiente

Diversi mi hanno parlato della possibilità di perdere alcuni specialisti

Diversi hanno paura di ritrovarsi con il caos che esiste all’Ospedale Dell’Angelo a Mestre

I problemi effettivamente sono diversi

Molti si chiedono che fine faranno gli attuali Ospedali. Sarà un buttar via i soldi investiti.

Difficile dare una risposta

Tanti dicono che sarebbe meglio far funzionare i tre Ospedali esistenti e la Casa di Cura

Ma perchè ci sono le fughe

La gente non va in Friuli perchè lo ritiene comodo ma perchè trova ivi delle eccellenze.

Ecco cosa manca nella nostra ASL. Manca spesso la eccellenza. Non che non ci siano reparti e medici al top ma manca la eccellenza.

La soluzione migliore sarebbe un Ospedale unico di tipo pubblico e un ospedale privato per dare la scelta al cittadino e la possibilità diversa di cura e diagnosi, sempre nel limite dell’economia di mercato.

Ma questo non è realizzabile in questo periodo di difficoltà economica  e quindi si deve ritornare a ripassare ad una altra soluzione

Bisogna tenere presenta la distribuzione di popolazione nel nostro territorio e della viabilità attuale e prossima ventura e le patologie e le statistiche epidemiologiche nei prossimi anni.

Dovrebbero esserci due Ospedali di rete ( San Donà e Portogruaro) con alta specializzazione ma con specializzazioni diversificate per patologia e un Ospedale a gestione privata che segua le direttive della Sanità pubblica e che abbia reparti specializzati per specialità carenti negli altri Ospedali

Esempi di questo tipo ci sono già in Italia e all’estero.

La suddivisione di competenza e di specializzazione darebbe la possibilità di avere le strumentazioni necessarie ai tempi senza dovere creare doppioni che costerebbero e sarebbero sottoutilizzate. Lo stesso ragionamento vale evidentemente per il personale medico e anche paramedico. Al giorno di oggi il medico non sa tutto e non può eccellere su tutto. Sarà più conveniente specializzarsi in alcune cose e non in tutte dando quindi una garanzia di professionalità maggiore.

Chi può al giorno di oggi chiede : “dove devo andare per essere curato meglio per tale patologia?”. Ma tale scelta non deve essere data solo ad alcuni cittadini ma a tutti.

Quindi due Ospedali con specialità diverse in grado di affrontare al meglio ogni situazione. Se la capacità di posti e di specialità sarà ottimale allora  il cittadino andrà in quel ospedale che meglio risolverà la sua esigenza indipendentemente dei pochi chilometri eventualmente in più.

Quello che si vuol dire  è che degli ospedali fotocopie l’uno dell’altro non soddisfano il cittadino anche se vicini a casa in quanto non sono perfetti ma limitati come posti letto, come risorse materiali e come risorse professionali.

Quindi non un altro Ospedale fotocopia ma un Ospedale con Riabilitazione specializzata con degenza e con Day Hospital  e una Lungodegenza capiente per tutta la ASL. Naturalmente vi sarebbe il problema del turismo estivo. Per tale motivo La Regione ha deciso  che ci sarà un Pronto soccorso autonomo con un Primario. Si tratterà di sopportarlo nel periodo estivo con aumento del personale medico e infermieristico .

 

E per San Donà e per Portogruaro. Cosa ci aspettiamo visto che i costi di un Unico Ospedale sono proibitivi ?

Un Primario o Direttore delle divisioni mediche a San Donà e una Direzione chirurgica a Portogruaro.?

Vi ricordate quando oltre ai vari Primari venne creato il Direttore del Dipartimento?. Vi era una Direttore di dipartimento (Chirurgia o Medicina ) e rimanevano i primari dei due anzi tre Ospedali. Ora rimangono solo i Direttori dei Dipartimenti e non ci saranno più gli altri primari. Cambierà il nome ma la struttura cambierà poco.

Io credo che quello che noi sosteniamo da anni sarebbe stata la soluzione di tanti problemi

Noi  abbiamo sempre proposto di Razionalizzare i vari Ospedali differenziandoli sia nei reparti che negli Ospedali.

In sostanza i vari reparti avrebbero avuta un ruolo differenziato in modo che in ogni reparto ci fosse una eccellenza per quanto riguarda  le varie patologie

Questo avrebbe comportato una riduzione di spesa e una ottimizzazione delle risorse umane e tecnologiche

Non si può spendere molto per avere le stesse attrezzature in ogni reparto perché si avrebbero attrezzature non di eccellenza e gli stessi operatori avrebbero una esperienza limitata e non eccellente in una data patologia.

Una chirurgia per esempio avrebbe trattato alcune patologie e per tale reparto si sarebbe investito nelle migliori tecnologie e si sarebbe  dato al personale e medico e paramedico una formazione eccellente.

Questo vale per chirurgia e per medicina e per i vari servizi

Non si può tutto centralizzare ma si può ottimizzare strumenti e personale per dare eccellenza agli Ospedali con vantaggi economici e un servizi ottimale alla popolazione.

La polemica Ospedale unico o meno è solo una polemica che ci fa tornare indietro negli anni quando vi erano i vari campanili e tutti pensavo a sè stessi.

Ora il cittadino vuole essere curato nel modo migliore con la attrezzatura migliore

E tutto questo ha dei costi

E allora conviene avere due poli attrezzati con le attrezzature migliori e con gli specialisti con la maggior esperienza e formati in modo tale da rappresentare quella eccellenza che attualmente manca.

In ultimo la Casa di Cura Rizzola. Deve rappresentare una alternativa alla popolazione sempre che possa rappresentare dei poli di eccellenza per determinate patologia e che il rapporto costi-benefici sia favorevole.

Se la struttura può dare alcuni servizi di eccellenza a costi competitivi non si vede perche non possa esistere nella modalità e nell’ottica descritta sopra.

Il Dr. Messina ci parla delle malattie più frequenti del fegato

Il Dr Messina ha dedicato una intervista che ho fatto per PIAVETV alle malattie più frequento del fegato. Abbiamo voluto dire due parole semplici in modo da dare uno sguardo alle malattie più frequenti. Cosa sono e cosa rappresentano in termini di numeri

 

 

Domande e risposte sulle malattie di fegato

 

1)   Perché parlare di malattie del fegato?

Perché il fegato é uno degli organi nobili insieme al cuore ed al cervello,  è la ghiandola più grande del nostro corpo, ha un peso di circa kg. 1,5,  ricordiamo  che si trova nell’addome a destra, sotto le coste e sotto il diaframma, tra lo stomaco ed il colon trasverso. Il significato deriva dal latino “iecur ficatum” fegato d’oca che gli antichi romani farcivano con i fichi ed ha diverse ed importanti funzioni:

a)   filtro delle sostanze tossiche del sangue, in particolare dell’ammoniaca sostanza tossica che deriva dalla degradazione delle proteine, che viene trasformata nel fegato in urea;

b)   produzione (sintesi) delle proteine, dei grassi e degli zuccheri;

c)   produzione dei  fattori della coagulazione (fibrinogeno, trombina,  V, VII, X , XI ed antitrombina);

d)   produzione dei globuli rossi nei primi tre mesi di vita del feto, dopo entra in funzione il midollo osseo;

e)   produce la bile che serve per emulsionare i grassi e rendere possibile il loro assorbimento nell’intestino.

 

2)   Quali sono le più comuni malattie del fegato?

Epatiti acute, epatiti croniche e cirrosi epatica.

 

3)   Quali sono le cause delle malattie del fegato?

Virus, alcol, batteri, diabete, aumento del colesterolo e dei trigliceridi, obesità e farmaci.

 

4)   Qual è la differenza tra epatite cronica e cirrosi?

L’epatite  é un processo infiammatorio del fegato, che può essere: a) acuta che guarisce nella maggioranza dei casi o b) cronica, che, se non curata, evolve in media dopo quindici anni in cirrosi; c) la cirrosi  é il danno più grave del fegato, si ha la distruzione delle cellule epatiche (epatociti), che vengono sostituite da tessuto cicatriziale  e rappresenta la quinta causa di morte nel mondo occidentale.

 

5)   Cosa significa steatosi epatica?

Significa fegato grasso, é una condizione dalla quale si può migliorare rimuovendo la causa che l’ha provocata (alcol, obesità e dislipidemia).

 

6)   L’alcol fa male al fegato?

Dipende dalla quantità, nell’uomo sano circa 30 grammi/ die sono ben tollerati (1/3 di litro di vino), nella donna circa la metà, perché la donna nel suo fegato ha una quantità minore di alcol-deidrogenasi, enzima che metabolizza l’alcol.

 

7)   Quali malattie possono causare danni al fegato?

Il diabete, le dislipidemie (aumento del colesterolo e dei trigliceridi) , le malattie autoimmuni e l’obesità.

 

In conclusione una corretta alimentazione,  l’abolizione delle bevande alcoliche e l’esercizio fisico regolare in caso di obesità (sovrappeso), oltre alla terapia specifica per ogni forma di epatite sia acuta, sia cronica, contribuiscono a far star meglio il nostro fegato.

 

Dr. Quirino Messina. Medico internista. Specialista in Ematologia e Cardiologia. Consulente Ospedale Riabilitativo di Alta Specializzazione di Motta di Livenza (TV)